Germania, 1939: Liesel è una bambina tedesca, abbandonata dalla madre costretta alla fuga dalla Germania perché comunista, che viene presa in affidamento dai coniugi Hubermann.
Hans Hubermann è un uomo con uno spirito di fanciullo, mentre sua moglie Rose è all'apparenza una donna burbera e scontrosa che sembra sopporti mal volentieri la presenza di Liesel. Il suo ambientamento nella nuova realtà è piuttosto problematico: i ragazzi del posto la emarginano per via del fatto che non sa né leggere né scrivere, ad eccezione di un “ragazzo dai capelli color limone”, Rudy, che fin da subito le dimostra la sua sincera amicizia.
Col tempo Hans le insegna a leggere e la lettura diventa la sua passione, al punto di rubare i libri dalla fornita biblioteca della moglie del borgomastro del paese, che l’aveva vista prenderne uno bruciacchiato nella notte in cui i nazisti organizzarono i falò dei libri considerati non conformi allo spirito tedesco (Bücherverbrennungen) sebbene tale episodio avvenne storicamente in una epoca diversa.
Allo scoppio della guerra, si presenta a casa degli Hubermann il giovane Max, un ebreo figlio di un ex compagno d’armi di Hans, che cerca rifugio dalle leggi razziali. Mantenendo la parola data al padre del ragazzo, Hans e Rosa lo ospitano per alcuni anni nella loro cantina, ed è proprio grazie a lui che Liesel completa la sua formazione: è lui che le insegna che “le parole sono vita”.
Il film è gradevole, grazie soprattutto alla grande prova degli attori. Sophie Nélisse, al debutto internazionale, restituisce una Liesel che fa comprendere la delicatezza della formazione dell’individuo nella sua infanzia, unita ad una spontanea genuinità; Emily Watson costruisce una Rose povera ma dignitosa e al tempo stesso ruvida, gentile, burbera e saggia; Goeffrey Rush, con una magistrale prova, conferisce al personaggio di Hans vitalità ed intensità. La fotografia è stupenda, la regia è leggera, quasi scolastica, la colonna sonora di John Williams (nomination all'Oscar) è importante.
Tra i temi affrontati nella pellicola di Brian Percival, c’è la figura ideale della madre: madri che abbandonano i figli (la madre di Liesel), madri che piangono i figli (la moglie del borgomastro), madri che amano i figli (Rose), madri che salvano i figli (la madre di Max). E poi la guerra naturalmente, che fa da sfondo all'intera vicenda, e che entra sempre più prepotentemente nella vita dei protagonisti, ed i libri che fanno da contraltare alla barbarie. I libri rappresentano il progresso, il sapere, la cultura. Sono il mezzo con cui l’umanità si rende libera, ed è per questo che l’oppressore, che teme il libero pensiero, li brucia. Ed è significativo il fatto che è proprio l’analfabeta Liesel a salvare la letteratura, rubando un libro destinato a bruciare.
Unica nota stonata, a parere di chi scrive, è la presenza di un narratore fuori campo d’eccezione, che dovrebbe raccordare le varie fasi della storia, mentre spesso la penalizza, appesantendola troppo. Storia di una ladra di libri è comunque un film emozionante che trascina e coinvolge lo spettatore, e che spinge ad una riflessione generale sull'importanza della comunicazione.
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